martedì 22 settembre 2009

22 settembre


Alla fine Phnom Penh non si rivela che una capitale… anche se inspiegabilmente tranquilla. Il palazzo reale e la pagoda d’argento tolgono il fiato, ma la cosa senza dubbio più sconvolgente è Tuol Sleng, museo dedicato al genocidio di Pol Pot. Gli anni del regime sono ancora una ferita tristemente aperta nel cuore dei cambogiani, soprattutto perché i colpevoli non sono ancora stati puniti.
Da Phnom Penh ci dirigiamo verso Kampot, una tranquilla cittadina sul fiume che la guida nomina per i suoi edifici coloniali. Quello che ci colpisce appena arriviamo è la mancanza di luce per le strade: un salto indietro di 40 anni confermato, il giorno seguente, dalle mucche per strada, i bambini scalzi che giocano e cani ovunque. In realtà non ci siamo proprio soffermati sugli edifici coloniali perché la gente è senza dubbio l’attrattiva principale. Il posto non è molto turistico quindi il nostro passaggio lungo le vie o sul lungofiume attira gli sguardi di tutti e siamo seguiti da un coro di “hello” dei bambini e da decine di sorrisi. Un paradiso sia di giorno, senza traffico e senza l’insistenza degli autisti di tuc tuc, sia di notte, con la via lattea sopra le nostre teste e un coro di grilli insuperabile.
L’esperienza più bella della loro ospitalità l’abbiamo quando, dopo un giro in motorino, ci ritroviamo con 5 bambini che ci fanno da guida in un luogo sacro scolpito nella roccia, Phnom Chnouk Cave, e quando è ora di ripartire veniamo invitati a casa di uno di loro per mangiare del cocco fresco. E che sia fresco non c’è dubbio visto che il bambino si arrampica sulla palma per prenderli! Viene coinvolta tutta la famiglia in una gara di ospitalità che ci fa venire le lacrime agli occhi…
La gente, i loro occhi e i loro sorrisi, e i colori, il verde delle risaie che nessuna foto riesce a riprodurre… questo vogliamo portare via dalla Cambogia! E ci manca ancora il nord.

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