martedì 29 settembre 2009


26 settembre
Siem Reap, tranquilla e decisamente turistica cittadina, adagiata tra le sponde del fiume omonimo, la culla della civiltà Khmer. Una tappa obbligata per chiunque voglia visitare la Cambogia. Qui infatti ci sono i templi di Angkor che da soli valgono l’intero viaggio e non solo per la loro maestosità e raffinatezza, ma perché ci ricordano la potenza della natura. Lasciate in balie di se stesse e abbandonate per decenni queste rovine hanno ceduto al peso della giungla che in alcuni evidenti casi ne ha modificato o distrutto parte della struttura creando qualcosa di unico ed estremamente affascinante.
E poi, anche qui, la gente… Le tristemente numerose vittime delle mine antiuomo di cui il territorio circostante è pieno e decine di bambini, il tutto in un vero e proprio mare di tuk tuk. E anche qui ci fermiamo a parlare con la gente per capirne un po’ di più di questa Cambogia. Due ragazzi che fanno i volontari in un centro per bambini orfani e senza casa ci raccontano perché è una piaga così dilagante e quanto influiscono matrimoni frettolosi che naufragano dopo qualche mese e abuso di alcool e droga da parte dei genitori, oltre all’onnipresente piaga dell’AIDS. E poi il sistema scolastico, a pagamento, l’economia (il 90% dei cambogiani vive di agricoltura e cerca di provvedere da solo alla produzione di ciò che consuma) e delle difficoltà per trovare un posto di lavoro. Uno dei due fa il volontario in ospedale e, da brava infermiera, non resisto e gli chiedo com’è. “I medici ci sono ma la gente non ha i soldi per pagarsi il letto, le medicine, i prelievi…Tanti pagano un po’ di più il medico di turno per fare l’operazione il prima possibile, ancora prima di avere una diagnosi certa e poi tornano a casa il giorno dopo… di corsa, perché non hanno soldi”. Li lasciamo con il sogno di diventare l’uno medico e l’altro avvocato e speriamo con tutto il cuore che ci riescano! Poi facciamo due chiacchere anche con un autista di tuk tuk, anche lui figlio di contadini, che ci racconta delle stanze prese in affitto a cifre piuttosto alte se paragonate con il loro stipendio dai ragazzi che vivono troppo lontano per far ritorno a casa ogni sera, che ci sono giorni in cui non si guadagna nulla e che i lavori che darebbero uno stipendio sicuro, come hotel o negozi, vengono affidati ai parenti di chi vi lavora già, creando un circolo chiuso. Lasciamo anche lui con un augurio: aspetta il terzo figlio e il nostro “good luck” lo fa sorridere. Ma i veri protagonisti sono i bambini e non è difficile trovarne uno che parli discretamente inglese con cui fare 2 chiacchere… Il “nostro” bimbo si avvicina chiedendoci di comprargli un libro e lì iniziamo a fargli qualche domanda. Mamma e papà sono a casa, a lavorare e lui vende i libri per la scuola. Gli chiediamo perché non tenti maggior fortuna ad Angkor, dove si riversano tutti i turisti e lui ci racconta che la polizia chiede un “pedaggio” ai bambini per poter vendere braccialetti, cartoline o libri e lui non se lo può permettere. Insieme ai politici la polizia rappresenta il ceto alto della società cambogiana. Ci dispiace non parlare anche con qualche anziano ma la lingua è una barriera insormontabile e non troviamo chi ci fa da interprete. Non importa…abbiamo saputo abbastanza. Di sera saltano fuori altri bambini, quelli che non riescono a procurarsi cartoline da vendere e cercano di racimolare qualcosa girando la città in bicicletta e raccogliendo lattine e bottiglie di plastica vuote dai cassonetti da rivendere. Noi torniamo verso l’ostello, con un misto di tristezza e rabbia, ma cercando di regalare quanti più sorrisi ed “hello” possibili…

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